Senza titolo 32

Perché carine sono tante, tutte simpatiche, ma lei è proprio gnocca…


(prologo: un po’ di spiccioli dal Lido. Prime sere cannate, per carenza di agganci sul campo e stanchezza autoindotta. Entro di sottecchi a una blanda festicciola nel garden del Casino, il digei ha i miei stessi dischi di tre anni fa ma un impianto molto più bello. Io ho lo stesso impianto sgangherato di tre anni fa, ma dischi molto più riverniciati. Mi incammino verso l’Excelsior preceduto da Marina Ripa di Meana a braccetto con quel bécco del marito. Lei è assai peggiore che in tv, pare una porcellana, un cadavere. Fa schifo come quei leoni aurei in fila per sei con resto di due. Il giorno dopo mi trascino per inerzia, il mio diapositive-maker mi fa: ‘pssst, guarda dentro al ristorante’, e vedo NANNI MORETTI, il MIO regista, il MIO non-politico, il MIO guru non-digei… Mangia con la regista del film che ha prodotto, e altr* della troupe. Mi dico: vado o non vado? E checcazzo gli dico? Controllo almeno se mangia una sacher… no, non è sacher quello che ha sul piatto. Quando parla gesticola. Starei ad adorarlo per ore, a scrutare ogni suo movimento, a tentare di capire perché lui è Nanni Moretti e io no. Oliver mi trascina avanti, che c’erano delle operazioni da combinare per renderci più giulivi; ma stanco del giorno sabbatico decido di disertare sia la spiaggia noglobale che l’Acropolis e mi avvio all’isola principale. Non prima di aver incrociato tra l’ilarità generale Emanuele Filiberto di Savoia, e Massimo Coppola di Brand:New. La mia trilogia d’assi per la sera è calata. Ho di che raccontare, in attesa di entrare in scena. Vaporetto, downtown, ripartenza sacchiana).




I Giorni Indipendenti mi hanno, e non era così scontato dopo le defezioni celebri. Ma volevo darla vinta a me stesso, per una volta. Non andare a mettere per forza dischi a un matrimonio, per quanto un matrimonio accogliente in quanto ad audience, per prendere altri due biglietti filigranati; tenere duro, dire ‘massì vedrai non sarà male’, oppure, meglio: ‘al limite penserai alle persone e non a quelle chitarre in fiamme’.


Ecco, è proprio là il dunque. Chissà quanti psicosociologi da baraccone televisivo verrebbero chiamati a commentare il fatto che tante, tantissime, veramente tante persone di ogni dove, di ogni ambiente preferenziale, di ogni pagina web, hanno stabilito di convenire in tale arena per saldare rapporti, rimpallarsi parole e intese, vivere il momento, anziché unicamente per auscultare scaglie di rumore grattugiato. Codesti scienziati del nulla, dio ce ne scampi e liberi, non conoscono le proprietà dell’austero e local Amaro San Simone. Ne sono assolutamente certo. Altrimenti diserterebbero le televisioni che tanto li coccolano, in occasioni di stragi in famiglia o gioiellieri omicidi.


L’amaro San Simone, retrogusto di Cynar, foriero di ‘erbe e droghe’ (come da etichetta posteriore) proviene dal baldo Piemonte, e ingerito alle 18 di un caloroso pomeriggio nella bassa padana, dopo che il tuo unico pasto constava di due polpette e un bicchiere di pinot, conferisce nuovi significati alle parole ‘lisergico’, ‘empatia’, ‘calcio mercato greco’, ‘scenestering‘, ‘puttanate’. Che flash, vedere quella bottiglia inizialmente snobbata, scivolare dalle mani padrone di EnzoP a quelle, per poco tempo ancora in Italia, di Bentygoal, fluire prima a terra poi alla chetichella di nuovo in quota, riportatavi da zio Mammara, indi(e) non si sa per quale motivo dentro la mia gola. Si arriva a dire ‘la patata è di sinistra’…


E dire che suonava Mark Lanegan, anzi la Mark Lanegan band, come pare ora lui stesso voglia si dica. Almeno metà del suo act posso dire di averlo visto da sobrio, percependone la grandezza e l’autorevolezza, di scrittore di canzoni indistruttibili, con la giusta attitude a parte quei capelli tinti da industrialotto di provincia. Gli stanno stretti i minutaggi, e perfino il palco, collocato in maniera imbarazzante tra la furia fine a se stessa dei Mondo Generator, e l’esibizione dimenticabile dei Libertines, che si sono sparati il vecchio singolone Up the bracket come primo pezzo, e poi -anche a detta di loro autorevoli fan- calati di schianto.


Echissenefrega, diciamo a due voci io e il vecchio San Simone, ormai una sola entità, praticamente agghiacciati da quanto abbiamo appena visto: al termine esatto dell’esibizione di Mr. Screaming Trees, mentre i roadies si affaccendavano a testare i monitor dei punkettoni di cui sopra, un* invasat* è salito sullo stage. Nessun* l* ha fermat*, forSe dell’ordine impietrite, pubblicodighiaccio. Temiamo un sequestro, ma parla in italiano. ‘Devo fare una rivelazione. Scottante. Ve la ricordate ‘ragazza di blogger’? Ehm… sono io.’ Da quel momento il festival non è più stato lo stesso. Tutt* ci siamo sentiti sgoment*, per aver visto le attribuzioni, i pronostici, le elucubrazioni andare in fumo, ridere beot* e dedicarsi alle parallele passioncelle, a riverire sodali di forum, a sciogliersi per quel che mi riguarda nella ssccccena veneta, presente in forze, da Marco del Jam -che riapre sicuro fino al 31 dicembre!:)- a Goodmorningboy, dalla Brain’s Cat a ShyRec, da Mist e magicpie alla tenera Snowpony (finalmente!), al mio guru, e chissà quant* ne ho pers* di vista…


Questo solo vale a riempire di significato una presenza in un festival così fuori fase: il riabbracciare lettori che ormai sono amici, lo stringere mani e braccia al collo di altr* con cui mai si aveva avuto l’onore, come anche Marco ‘schiaffo’ Delsoldato, prima atteso, poi braccato e infine sfuggito; distribuire aulin a’ bisognosi e conoscere dolci fanciulle prima della loro partenza, accettare biglietti da visita ‘ioscrivo’ (eh, anch’io, ma…) e spille fantastiche come la mia ‘Narcissist’ che ora porterò in qualsiasi indumento… Ecco, le spille. Proprio nelle pause -perché io ho considerato tali sia i mediatici Libertines che i seminali ma pesanti Sonic Youth, per i quali nutro sincero rispetto ma che non sono esattamente my cup of tea- fra i Lanegan’s e la Grande Sorpresa Della Serata, ho ciondolato nell’osservare, non credo per primo, la nuova tendenza del popolo da concerto: il pingazing. Trattasi di avvicinarsi a persona recante nel vestiario delle spillette di qualsivoglia foggia e colore, e dirle scusa-posso-melafaivedere(!!!)-macheffiga-madovel’haipresa, con la conseguenza di attaccare bottoni che, opportunamente assistiti dalle alchimie imperscrutabili dell’ignoto, possono durare tutta una vita.


La Grande Sorpresa Della Serata sono, manco a dirlo, i Franz Ferdinand. Tanto da farmi dire che praticamente ho assistito al live dei Franz Ferdinand, più uno strano e anomalo supporting di Lanegan. Non che i glasgowiani non si conoscessero e non ci sfiziassero, ma ero scettico sulle loro capacità di andare oltre il semplice diritto al volume alto delle casse di questo pc, o di un locale che mi accorda la sua carta bianca. Sapevo di aver bisogno di una prova live, da affrontare con un sentimento di curiosità e apertura a tutti gli esiti. Ebbene, i fashion boys del 2004 hanno cancellato presto le mie perplessità, proponendosi con veemenza e impeto fin dal primo giro di interplay, promettendo e mantenendo che per quell’ora non ci si sarebbe fermati un solo attimo. Inutile dire che Take Me Out e Matinée sono state colonna sonora cantata dai più (la seconda me la sono portata dietro fino all’uscita, e in auto, e al risveglio), ma la versione di Auf Achse merita una parola di più, talmente enveriana con quell’intro di synth, e pure così gorgogliante al suo interno. Quadrati, incessanti, scenici, sboroni. Una sezione ritmica da paura. Come gli Interpol, per intenderci. Il mio referente nel mondo del citazionismo vintage mi ha snocciolato i nomi 1979-84 da cui gli scozzesi prendono le mosse, e nella mia mente mi dicevo sicuro che i Franz Ferdinand non sono un fuoco di paglia, ma hanno i numeri per durare oltre un prossimo album, o almeno così sono propenso a sperare. Altro che la fuffa white striped, o le insolenze garage: l’eleganza e la coerenza fanno ancora discrimine.


Al termine della baracca, avvistisi dell’assenza di un merchandising firmato FF, ci si concedono gli ultimi baciabbracci mentre un nerboruto ragazzo colorato ci spinge all’uscita (dove ore prima ho appreso che qualcuno si era scannato con le guardie e coi loro manganelli): ‘domani ti linko’, è il saluto del blogger. La marea sciama costeggiando improbabili autoscontri, riffe, tiri al peluche, ristoranti indiani e di pesce, piste da ballo su cui risuonano Cicale della Parisi e Boys di Sabrina, finché veniamo spinti a forza alla tenda Estragon, dove stanno performando i Radio 4, ennesimo ensemble della nidiata newyorkese del nuovo (?) funk bianco, dopo Chk Chk Chk e Rapture e quei felini da ballo cadenzato che tanto piacciono alla nostra espertona😉


Cantando ‘Matinée’, insegnandola a chi non la conosceva, ci si avvia indolenziti per la Stalingrado tutta, alla ricerca di un’auto parcheggiata che pareva in primis molto più vicina. Si arriva a Movieland col cervello ancora deflagrato dalla condensa di momenti-top vissuti a Fèlsina. Chi l’avrebbe detto, a trent’anni, di sentirsi così umani, e di credere veramente che noi siamo uno, soltanto unooo…


Calendarietto. Prima o poi li farò, tipo quelli che consegnavano i medici condotti. Per intanto, martedì inauguro le serate ad ‘Altrove’, lungo bar colorato in Campo San Silvestro, a un passo (e una fermata di battello) da Rialto. Venerdì spero -non ci dovrebbero essere problemi- di avere la stessa opportunità al ‘Chet’, piccolo ma grazioso jazz-oriented corner in Campo Santa Margherita, di fronte all’auditorium. Entrambi i set saranno ispirati, manco a dirlo, alla Mostra del Cinema. Quindi soundtracks a go-go, non solo loungey.


Non dico altro. La Marta, dopo averne letto sul Venerdì di Repubblica, mi fa notare il fantasmagorico sito http://www.ilpranzoeservito.it :: simulazioni del gioco, download di sigla e suoneria (ulp!), tanta tanta bastarda nostalgia. Ci stavano già berlusconizzando e non lo sapevamo. Però quel jingle… giusto da aprirci un set…










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